Equanimità

“Appianare i conflitti interiori, trovare la calma nella sofferenza: la scoperta dell’equanimità”.

Capita spesso di oscillare tra umori diversi, anche durante la stessa giornata abbiamo dei repentini cambi emotivi e, ogni singola sollecitazione del mondo contribuisce a renderci ancora più instabili.
Questo capovolgimento continuo di stati d’animo è una seria minaccia al nostro equilibrio e contamina la correttezza e lucidità delle nostre scelte quotidiane.
Non parlo solo di crisi di pianto o tristezza, di senso di scoramento e apatia, ma anche di quelle emozioni positive (gioia, eccitazione, esaltazione) alla cui ricerca siamo continuamente tesi.
Pensiamo ad un segmento, il primo estremo indica la parola piacere mentre l’altro il termine sofferenza, se dovessimo scegliere di vivere una delle due condizioni indicate, quale sceglieremmo? Senza ombra di dubbio quella del piacere.
Nessuno si sognerebbe di rispondere: “vorrei esattamente essere nel punto medio tra i due estremi in modo da non patire la sofferenza né lasciarmi sopraffare dal piacere”.

Ebbene l’equanimità rappresenta questo: il momento in cui si è in grado di non lasciarsi trascinare verso nessun estremo, una condizione di equilibrio per fermare l’altalenarsi delle emozioni.
In un’ottica del genere, tutto ciò che accade viene ridimensionato e vissuto per quello che è: una manifestazione della realtà che, come tale, deve essere accettata.
Il cercare di avvicinarsi ad una condizione di equanimità significa provare a controllare il proprio attaccamento verso le cose, le persone o le situazioni.

Mi rendo conto che queste parole suonino stonate: siamo troppo abituati a desiderare, ad affannarci, a combattere, a prendere posizione, a farci strada tra gli altri, ma a quale costo?
Non sto suggerendo di ritirarvi su un monte e sperimentare la trascendenza, il distacco assoluto dal mondo o una forma di abbandono dalla sostanza. Vorrei solo farvi sapere che esiste un altro modo (mutuato dallo zen) per provare a controllare le vostre emozioni, che in alcuni casi il non agire può aiutarci ad essere più stabili, più forti. Non dobbiamo essere sempre tesi verso qualcosa, possiamo provare ad assaporare una condizione di serenità che va oltre l’aver ottenuto o meno quello che ci eravamo prefissati.
In più occasioni ho detto che è del nostro viaggio di vita che dobbiamo innamorarci e non della meta perché quest’ultima è solo la causa che ci ha permesso di partire.

Con una metafora potrei suggerire di provare a diventare alberi. Un albero è un grande maestro di stabilità, serenità, equilibrio ed equanimità.
L’albero è stabile, le sue radici, pur essendo invisibili lo ancorano alla terra. Ben poche cose sono in grado di scuoterlo. È legato alla terra tramite un legame di reciproco scambio. Per mezzo delle radici, riesce ad accogliere tutto quello che la terra gli procura senza escludere gli scarti o il letame. Al contempo però, è in grado di restituire alla terra ciò di cui ha bisogno.
Le sue foglie, cadendo, arricchiscono il suolo e sono la rappresentazione della sua capacità di lasciar andare, di non essere “morbosamente attaccato” a quelle sue foglie. Con la sua imperturbabile calma, l’albero accoglie tutto, come si accolgono i doni: sole, pioggia, vento e grandine.
Ha la capacità di trasformarsi con le stagioni, ma anche col passare del tempo.
L’albero accetta di cambiare ed accoglie, anche, le trasformazioni che avvengono attorno a lui.

Come potrebbe essere turbato dalla vita, dai sentimenti impetuosi? Diventiamo albero.

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